Contratto di collaborazione coordinata e continuativa

co-co_-co_Il  contratto di lavoro che un’impresa può stipulare con un lavoratore non è solo di tipo subordinato (lavoratore dipendente) ma può essere anche autonomo (lavoratore a partita iva) o parasubordinato (Contratti di Collaborazione).

Proprio dei Contratti di Collaborazione Coordinata e Continuativa che adesso vogliamo parlare. Questi non sono state soppressi – come si vuol fare credere – dal Jobs Act poiché ha solo eliminato il ricorso al progetto ma continuano ad esistere, anzi sono ritornati nella loro versione originaria, l’importante è saperli delineare bene.

Questa tipologia di contratti forse abusata nel corso del tempo rappresentano, se configurati non in maniera fraudolenta, dei validissimi ed utili strumento atti a ridurre il costo del lavoro per l’impresa e ad immettere dosi di flessibilità nella stessa.

Quando è configurabile un contratto di collaborazione coordinata e continuativa? E’ possibile instaurare dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa, qualora vi sia un’autonomia operativa ed organizzativa del prestatore di lavoro soprattutto in riferimento ai luoghi e tempi di svolgimento della prestazione.

Cosa vuol dire in negativo? Significa che l’attività lavorativa deve essere svolta senza vincoli di subordinazione (ovvero che non devono essere presenti nel rapporto di lavoro i classici elementi della subordinazione) da parte del datore di lavoro che in questo caso prende il nome di committente.

Il lavoratore – collaboratore – non deve quindi sottostare al rispetto di obblighi di orari di lavoro, al potere direttivo e di controllo, non deve ricevere a scadenza periodica e predeterminata una retribuzione, non  deve essere inserito in maniera funzionale  nell’organizzazione gerarchica dell’impresa. La presenza anche di uno solo di questi elementi, fa scattare la presunzione da parte dell’autorità ispettiva di  un rapporto di lavoro subordinato con la conseguente riconversione dello stesso e l’applicazione di sanzioni.

Questo è quello che non deve realizzarsi ma, cosa vuol dire in positivo la nozione di sopra?

Significa che il lavoratore deve svolgere l’attività lavorativa oggetto del contratto con sua prevalente personalità ed unica responsabilità, egli gode infatti di una totale autonomia nelle scelte delle modalità di adempimento della prestazione che può essere anche a tempo indeterminato e quindi avere carattere di continuità.  Il committente può fornire le direttive al collaboratore e la Cassazione, con sentenza 23/07/2004 n. 13884 ammette anche la possibilità per il collaboratore di utilizzare i locali e le attrezzature del committente per lo svolgimento della propria attività lavorativa.

Bene, per configurare correttamente un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa bisognerà quindi analizzare l’attività svolta dell’impresa e l’attività che andrà a svolgere il collaboratore. Sicuramente non a tutti i lavoratori sarà applicabile tale tipologia contrattuale ma caso per caso si andrà a valutare quando questa sia configurabile, ad esempio risulta possibile per un’istituto scolastico privato instaurare un contratto di collaborazione coordinata e continuativa con un maestro.

Al fine di realizzare una maggior tutela per l’impresa circa la reale genuinità del rapporto contro eventuali controlli ispettivi, consiglio sempre di “blindare” il contratto di collaborazione mediante una certificazione che può essere rilasciata dagli organismi di certificazione tra i quali la commissione di conciliazione istituita presso il consiglio provinciale dei consulenti del lavoro.

Per quanto riguarda il rapporto tra contratto di collaborazione e costo del lavoro, sicuramente  questo per le casse dell’impresa rappresenta per antonomasia un’occasione di risparmio economico e di flessibilità organizzativa.

Il contratto infatti non deve prevedere alcun tipo di risultato o compenso minimo, il collaboratore verrà pagato al raggiungimento degli obiettivi e, solo al momento del pagamento, verranno calcolati e versati i contributi, le cui aliquote nonostante gli aumenti fatti, sono ancora inferiori rispetto alle aliquote contributive previste per i lavoratori subordinati. La legge di stabilità 2017 seppur non ancora approvata dal Parlamento sembra andare verso una riduzione dell’aliquota contributiva Inps portandola dall’attuale 27% al 25%. In favore del lavoratore non sono previsti Tfr, buonuscite o altre prerogative esistenti per i lavoratori subordinati come la tredicesima, la quattordicesima, congedi, ferie e permessi vari (in quanto non è un rapporto di lavoro dipendente).

Tuttavia se per le casse dell’impresa questo rappresenta un contratto appetibile fermo restando il rispetto delle condizioni di legalità che ne originano la stipula, notiamo come il diritto del lavoro nel corso degli ultimi anni si sia andato a muovere verso un’aumento delle tutela anche per i collaboratori, i quali seppur ancora non parificati ai lavoratori dipendenti possono godere dell’Assegno Nucleo Familiare, dell’indennità di disoccupazione “Dis-Coll”, dell’indennità di malattia, infortunio, maternità e congedo parentale a carico degli enti previdenziali, e dal punto di vista economico possono beneficiare anche delle 80 € del cosiddetto Bonus Renzi.

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Dr. Francesco De Santo

Iscritto all’Ordine dei Consulenti del Lavoro Cosenza

 

 

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